Il Consiglio Direttivo della SIDI ritiene doveroso rilevare come la liberazione e il rimpatrio, da parte delle autorità italiane che lo detenevano in custodia, di Osama Elmasry (noto anche come Almasri Njeem), cittadino libico destinatario di un mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale in data 18 gennaio 2025, costituisca una violazione grave e ingiustificata degli obblighi di cooperazione derivanti dallo Statuto di Roma – segnatamente in relazione all’art. 86.
Lo Statuto rappresenta, a tutti gli effetti, un trattato internazionale che l’Italia ha firmato e ratificato. Non va inoltre dimenticato che il nostro Paese ha fornito un contributo determinante alla sua conclusione, promuovendo e presiedendo la Conferenza diplomatica che, nel luglio 1998, appunto a Roma, ha istituito la Corte.
Nello specifico, rileva per la vicenda che ha interessato Osama Elmasry l’obbligo di dare esecuzione a un mandato di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità – tra cui torture, trattamenti inumani e degradanti, stupri e violenze sessuali – commessi in territorio libico e, in taluni casi, all’interno di strutture di trattenimento di persone migranti. È importante ricordare in proposito che l’indagine aperta dalla Corte è seguita al deferimento ad essa della situazione libica deciso dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi dell’art. 13, lett. b), dello Statuto con risoluzione 1970 del 26 febbraio 2011.
La situazione è poi ulteriormente aggravata dalla circostanza che, alla suddetta violazione, non è seguita, da parte delle autorità italiane coinvolte, alcuna convincente giustificazione.
Il mancato raccordo tra autorità inquirenti, magistratura e Ministero della giustizia e l’espulsione di un soggetto dichiaratamente riconosciuto come pericoloso (in luogo dell’applicazione di altra misura che ne avrebbe consentito la consegna o il giudizio), accompagnati dalle avventate dichiarazioni circa la natura delle pronunce della Corte, rischiano – ove già non l’abbiano fatto – di arrecare un danno gravissimo e irreparabile alla reputazione di un Paese che, come si ricordava poco sopra, tanto ha contribuito a dare vita alla principale istituzione di giustizia penale internazionale ad oggi esistente.
Tutto ciò, peraltro, in un momento cruciale per l’operato della Corte, contraddistinto dall’emissione dei mandati di arresto nelle indagini sui crimini commessi in Ucraina e nel conflitto tra Israele e Hamas.
Il Consiglio Direttivo tiene a ricordare che le condotte tenute in questa vicenda dalle autorità italiane – ancorché discutibili sotto il profilo dell’ordinamento interno – sono suscettibili di far sorgere la responsabilità internazionale dell’Italia nei confronti degli altri Stati parte allo Statuto di Roma, delle Nazioni Unite (cui si deve, come detto, l’iniziativa di aver deferito alla Corte i crimini in oggetto) e pure – trattandosi di mancato esercizio della giurisdizione penale nei confronti di un soggetto accusato, tra gli altri crimini internazionali, di tortura – della comunità internazionale nel suo complesso.
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